Viaggio alla “fine del mondo”: l’Algeria e l’immensità del Sahara

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Benvenuti alla “fine del mondo”. È così che in lingua tuareg viene chiamato il deserto: quello dell’Algeria fa parte del Sahara e occupa più dei quattro quinti dell’intero territorio. Un’immensa distesa di sabbia, un fascino enorme, qualcosa che è impossibile descrivere a chi non vi si è mai avventurato.

Proviamo a raccontarlo insieme a Mouissi Mohammed, responsabile del tour operator algerino Adventure Mouissi, che ci accompagna in un viaggio emozionante fra le dune.

Dicono che se non sei mai andato in Algeria ti manca qualcosa?
«Esattamente. L’Algeria, che è grande 8 volte l’Italia, offre l’opportunità di conoscere a approfondire tanti aspetti che gli altri Paesi non hanno. Già il deserto del Sahara, oltre al suo fascino, ha tanti paesaggi diversi: quello roccioso, quello sabbioso, le dune, le oasi. E l’Algeria ospita quella parte di deserto, la Tadrart rouge, che viene considerato il più spettacolare ed affascinante del mondo. È la prima cosa che un turista straniero chiede di visitare, perché è ciò che è “diverso”, quello che non si conosce».

Quant’è grande il deserto? Chi non c’è mai stato cosa si è perso finora?
«Immenso, con distanze abissali tra un punto e l’altro. Il fascino del deserto non è descrivibile a parole, bisogna viverlo, perché è un’emozione forte. In lingua tuareg significa appunto “la fine del mondo”, perché quella è la sensazione che provi quando arrivi lì: ti senti alla fine del mondo. È un paesaggio che una persona deve vivere e sentire. E se qualcuno esita a venire, con gli occhi riesco a convincerlo, perché si fida».

L’Algeria è l’immensità del deserto, ma non solo.
«La nostra è una storia unica, con il passaggio di tante civiltà, a partire dall’Impero romano, che in Algeria ha i resti archeologici più belli: infatti Timgad, l’antica Thamugadi e considerata la Pompei dell’Africa, è qui, una città quasi intatta che sembra costruita di recente».

Timgad
Timgad

Quindi tanta gente non ha idea di quello che si troverà di fronte…
«Sì, è vero. Chi parla dell’Algeria sembra che si riferisca ancora alle immagini degli anni 90, con la Drama – la guerra civile in Algeria scoppiata nel 1991 e durata fino al 2002 – ma forse è anche vero che, dal punto di vista politico, non abbiamo la forza di considerare il turismo un vantaggio, considerando che il nostro ora è un Paese ricco grazie al petrolio e al gas. Allora ci siamo noi, come agenzie, a lavorare tanto su questo fronte, perché l’Algeria ha una potenzialità enorme».

Nonostante tutto, la crescita del turismo italiano in Algeria è stata esponenziale.
«Assolutamente sì: sono i primi per flusso. io sto lavorando soprattutto con gli italiani e gli hotel sono pieni di vostri connazionali: è un bene sia per voi che per noi, perché questo crea un grande movimento dal punto di vista economico. Peraltro, da quando ci sono gli accordi fra Algeria e Italia sull’energia la collaborazione fra i due Paesi è aumentata».

Italiani a parte, da quali Paesi provengono gli altri visitatori?
«Dall’Europa dell’Est e dagli Stati Uniti. Una volta la maggior parte del turismo era francofono, ma ora non è più cosi: rispetto a prima usiamo molto di più italiano e inglese rispetto al francese».

Ci sono più richieste di tour organizzati o per le vacanze in solitaria?
«Noi modelliamo sempre gli itinerari in base alle esigenze dei nostri clienti. Certo, in solitaria è piuttosto costoso perché ci sono regole che dobbiamo rispettare».