È arrivata a Roma anche la Regina Sonja di Norvegia per inaugurare, accolta dal Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella e dal ministro della Cultura Alessandro Giuli, la mostra Munch. Il grido interiore, evento espositivo che ha tutte le carte in regola per essere l’appuntamento culturale dell’inverno 2025 nella capitale.
Cento opere dell’artista considerato uno dei principali simbolisti del XIX secolo e precursore dell’Espressionismo rimarranno in esposizione fino al 2 giugno nel nobiliare Palazzo Bonaparte, affacciato sulla centralissima via del Corso e noto per essere stato, dal 1818, la residenza di Maria Letizia Ramolino, madre dell’imperatore Napoleone Bonaparte.
La mostra, organizzata da Arthemisia e curata da Patricia G. Berman, una delle più grandi studiose al mondo di Munch, racconta tutto l’universo cupo e intimista dell’artista norvegese, permettendo al visitatore di addentrarsi tra le vicissitudini del suo percorso umano e le ricadute che queste ebbero sulla sua sconfinata produzione artistica con una selezione di opere arrivate direttamente dal Munch Museet di Oslo tra cui spiccano, imperdibili, una delle versioni litografiche de L’Urlo (1895), La morte di Marat (1907), Notte stellata (1922–1924), Le ragazze sul ponte (1927), Malinconia (1900–1901) e Danza sulla spiaggia (1904).
La mostra, che già nella sua prima tappa milanese aveva superato la soglia dei 250mila visitatori nel suo allestimento a Palazzo Reale, a Roma può contare sulle splendide architetture di uno dei più bei palazzi nobiliari della città: allestita al primo e al secondo piano dell’edificio ottocentesco riporta in Italia, a quarant’anni dall’ultima grande esposizione dedicata al maestro norvegese, una retrospettiva approfondita e curatissima che regala anche un ideale viaggio nella Oslo di fine ottocento, quando ancora la città si chiamava Kristiania. L’artista ebbe sempre un legame fortissimo con la capitale norvegese tanto che, al momento della sua morte, nel 1944, non avendo eredi a cui lasciare il suo patrimonio scelse di lasciare tutte le opere in suo possesso alla città di Oslo.
E proprio per rendere onore al lascito di Munch, Oslo ha costruito il nuovo Munch Museet, progettato dallo studio di architettura spagnolo Estudio Herrerosuno, dei più grandi musei al mondo dedicati a un singolo artista, che espone dipinti, disegni, xilografie e fotografie disposte su 13 piani e 26.313 metri quadrati: circa 42 mila opere esposte in 11 sale espositive, oltre a mostre temporanee di artisti nazionali e internazionali.
Oslo è una presenza tangibile e continua nell’allestimento della mostra romana. Molti gli scorci cittadini della città, con i grandi viali e i caffè dove l’artista era solito incontrare i rappresentati dei circoli artistici che la rendevano una città vivace e all’avanguardia. Anche i dintorni della città sono ben presenti in mostra a partire dalla collina di Ekberg: fu proprio passeggiando tra i suoi sentieri che Munch ebbe l’ispirazione per il suo quadro più famoso, L’urlo, considerato l’emblema dell’inquietudine che caratterizza l’opera dell’artista. Ma lo stesso punto d’osservazione de L’Urlo si ritrova anche in un’altra opera straordinaria, l’olio su tela titolato Disperazione, del 1894. Sullo sfondo quasi impercettibilmente, si può notare il profilo della Oslo commerciale che ruotava intorno al suo grande porto nel cuore dell’Oslofjord.
La mostra fa emergere anche il particolare rapporto che quest’artista ebbe con l’Italia, aspetto forse meno conosciuto e sicuramente finora meno indagato, a partire dal primo viaggio nel 1899 quando arrivò a Firenze con l’amata Tullia Larsen. Viaggio non particolarmente fortunato visto che lo stesso Munch lo descrive, in uno dei suoi scritti, «Malattia, alcol, disastri: questo fu il viaggio a Firenze».
L’arrivo a Roma, però, gli permette di entrare maggiormente in contatto con la cultura italiana, in particolare con Raffaello e il Rinascimento: «penso alla Cappella Sistina.. Trovo che sia la stanza più bella al mondo». Tornato in Italia nel ’22 si divise tra Milano e Roma dove trascorse un mese intero ed ebbe modo di recarsi al Cimitero Acattolico per visitare la tomba dello zio, Peter Andreas Munch, lo storico più famoso di tutta la Norvegia, morto a Roma lo stesso anno della nascita di Edvard. E un’altra bellissima opera in mostra regala proprio uno scorcio del cimitero Acattolico della capitale.