Appennino bolognese, alla (ri)scoperta della storia lungo la Via dei Mulini

foto da Antonio Castello
Archeologia industriale o siti del patrimonio culturale italiano? È difficile rispondere a questa domanda. Perché i mulini ad acqua, risalenti in alcuni casi al Medioevo, realizzati per trasformare il grano in farina e, quindi, per fare il pane, alimento vitale per la sussistenza dell’uomo, sono un po’ l’uno e in po’ l’altro.

Di sicuro sono stati il cuore economico e culturale della società di inizio Novecento. Oggi sono considerati una memoria storica, dal fascino infinito e profondo. In Emilia Romagna, più in particolare nel Bolognese, è stata di recente creata una Via dei Mulini, la cui notorietà va ormai aumentando di giorno in giorno.

Lunga 39 chilometri, tanti quanti ne percorre il torrente Savena, questa via copre in pratica la distanza che separa Monghidoro da San Lazzaro. Soltanto qui, se ne contano ben 29. Quasi tutti ristrutturati, grazie anche ai finanziamenti erogati nel tempo dalla Regione e dalla Comunità Europea nell’ambito di specifici progetti riguardanti il recupero di aree rurali, queste strutture, tutte private, si trovano sparse lungo le Valli del Savena e del Sambro, alcune inglobate in case private, altre in strutture abilitate all’ospitalità e alla ristorazione. Molti di quelli restaurati sono diventati non solo oggetto di studio e ammirazione, nonché di promozione culturale, ma anche simboli di una realtà che seppure lontana, ancora oggi ci coinvolge e affascina, anche perché non sono pochi quelli funzionanti, sia pure per soli scopi didattici. Il loro funzionamento è idraulico con sistemi che solo il genio e la fantasia dell’uomo poteva ideare.

Il Mulino Mazzone

Per soddisfare la nostra curiosità ne abbiamo visitato uno, il Mulino Mazzone, situato nel comune di Monghidoro. Immerso in un contesto di grande interesse naturalistico, circondato da colline con panorami mozzafiato, il mulino si trova lungo un percorso, denominato “Mater Dei” che conduce al Santuario dedicato alla Beata Vergine di Pompei. Per un insieme di fattori (varietà delle macine, struttura del fabbricato, museo, posizione, funzionalità, ecc.) può considerarsi il più interessante del territorio.

foto da Antonio CastelloLa sua costruzione è sicuramente anteriore al 1785, secondo quanto riportato dalle mappe catastali (ma la data precisa non è mai stata accertata), ed è composto da una abitazione rimasta immutata nella sua autenticità, da quattro locali destinati ciascuno ad una macina, da una stalla e un fienile trasformati in locali ad uso abitativo (bed and breakfast). L’acqua necessaria per il suo funzionamento, quella di Rio Piattello, uno dei tanti corsi d’acqua che dai boschi della valle confluiscono nel Savena, corre lungo un canale, terminando la sua corsa in un invaso, detto “botte” delimitato da mura e un argine in terra. Qui si accumula l’acqua che, fatta cadere attraverso un condotto e una chiusa, muove le pale sistemate in un locale che ospita ruote e catini.

Nelle domeniche dei mesi estivi i proprietari, sempre molto disponibili, accolgono e accompagnano i visitatori previa prenotazione che può essere effettuata sul sito del mulino. La gita, o meglio il giro fuori porta, si conclude proseguendo verso Monghidoro e poi Loiano, sede di un’altra eccellenza del territorio, quel Palazzo Loup, di origine settecentesca, che ospitò il 28 settembre 1859 in forma riservata un convegno, che sarà poi detto di Scanello, con i più importanti personaggi della scena politica del tempo:  Bettino Ricasoli (Toscana), Luigi Carlo Farini (Modena), Marco Minghetti, Leonetto Cipriani e Rodolfo Audinot in rappresentanza della Romagna, i quali, in quella occasione, stabilirono di togliere ogni barriera doganale fra la Toscana e la Romagna, primo passo verso quell’unione dell’Italia Centrale sotto il futuro regno di Vittorio Emanuele II.

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