È una giornata di inizio luglio del 1967 quando una ragazza di quasi ventun’anni arriva a New York dal New Jersey, dove viveva. In una valigia scozzese porta con sé matite e blocco da disegno, qualche vestito, una foto di famiglia, e un libro, “Illuminazioni”, di Arthur Rimbaud. Vorrebbe essere un’artista e una poeta, diventerà la sciamana del rock, in quell’antro magico e maledetto che è la Big Apple degli anni Settanta.
A raccontarlo è la giornalista e autrice Laura Pezzino in “A New York con Patti Smith”, libro pubblicato da Giulio Perrone Editore nella collana Passaggi di dogana, dedicata a guide d’autore del mondo. E questa, come racconta l’autrice, potrebbe essere una sorta di geo-biografia o a una biografia topografica.
Leggendo A New York con Patti Smith – sottotitolo La sciamana del Chelsea Hotel – si viaggia in una girandola di aneddoti, personaggi, riflessioni, luoghi. Su tutti, naturalmente, svetta il mitico e mitologico Chelsea Hotel, sulla 23sima strada, indirizzo che nei decenni ha visto passare e vivere tra le sue pareti generazioni di artisti e umanità varia, dai poeti della Beat Generation a Bob Dylan, e che, come tanti altri luoghi della Grande Mela, non ha resistito agli attacchi del tempo. Finito nelle maglie della gentrification, riaprirà forse come hotel di lusso. Intanto, però, noi lo ricordiamo come il posto in cui, scrive l’autrice, inizia per così dire “il vero apprendistato di Patti Smith, poeta, rockstar, autrice di culto, sacerdotessa del punk”.
Ma la New York di Patti Smith e della sua comunità di amici è anche quella di Central Park, di Washington Square, Coney Island, di tante librerie – scomparse o sopravvissute – di tavole calde dove ti poteva capitare di fare la fila con Allen Ginsberg.
È un viaggio nello spazio ma soprattutto nel tempo, un’immersione nell’atmosfera – elettrizzante e complessa al tempo stesso – della New York degli anni Sessanta e Settanta soprattutto. Ma non è solo un viaggio della nostalgia. È vero, la Grande Mela è cambiata, e non poteva essere altrimenti per una metropoli così ma, oltre che andare a ricercare nelle strade di oggi lo spirito beat e bohemien di allora, ci sono anche tanti indirizzi contemporanei, compresi quelli dove potreste davvero incontrare Patti oggi.
Ce ne parla l’autrice Laura Pezzino.
Come ha scelto di raccontare Patti Smith e il suo rapporto con New York, da cosa si è lasciata guidare?
«Quando mi è stato proposto di scrivere un libro per la collana Passaggi di dogana dell’editore Giulio Perrone, parlare di New York e di Patti Smith è stato il mio primo pensiero. Entrambi sono da anni oggetti d’amore per me ma, soprattutto, d’amore tra di loro. Ho provato a mettere insieme questi tre piani, cercando di fonderli in un racconto comune che comprendesse anche pezzi dei nostri rispettivi universi. New York è forse una delle città più raccontate del nostro pianeta, e nonostante questo il suo potenziale narrativo resta inesaurito e inesauribile. Patti Smith anche è stata molto raccontata, forse più come performer e cantante che come “newyorkese”. Poi ci sono io, molto piccola tra loro due, che li inquadro come l’occhio di una telecamera».
Quanto sono importanti anche adesso i luoghi di New York per Patti (anche considerando che si racconta e li racconta su Instagram)?
«Molto. Di sicuro, negli anni che sono trascorsi da quando era arrivata dal New Jersey nel 1967, il suo rapporto con la città è molto cambiato facendosi, io credo, sempre più viscerale. Se all’inizio rappresentava il sogno di iniziare la vita “vera”, quella come artista, nel tempo si è trasformata in catalizzatore della sua carriera e culla dei suoi affetti più profondi. Alla fine del 2021, il sindaco Bill De Blasio le ha consegnato ufficialmente le chiavi della città, a riconoscimento del profondissimo legame con il luogo senza il quale, forse, non sarebbe diventata quella che è diventata».
Immagini di voler costruire un itinerario del cuore a New York sulle orme di Patti, quali sono le tappe da non perdere e magari anche quelle più insolite?
«Partirei da un tour dei parchi che l’hanno “ospitata” nei primi mesi della sua presenza in città: Central Park, passando vicino alle sculture che rappresentano i personaggi di Alice nel paese delle meraviglie, poi Washington Square Park, da percorrere tutto fermandosi a guardare i giocatori di scacchi che lì sono dei veri e propri personaggi, e infine Tompkins Square Park, che è il luogo in cui è iniziata la storia d’amore tra Patti e l’artista Robert Mapplethorpe quando entrambi erano giovani, pieni di speranze e di talenti e appena arrivati in città. Poi, potrebbe essere interessante percorrere la 23rd street, a partire dal Flatiron Building fino all’Hudson, dove sorge anche quello che era il Chelsea Hotel: nel libro ne faccio un ritratto (quasi) civico per civico, alla ricerca di tracce del passaggio newyorkese di Patti».
Nel libro ci sono anche tante immagini, anche le vere istantanee e foto descritte che aprono i capitoli. Se dovesse sceglierne tre di Patti a New York quali sarebbero?
«Il frame di un documentario del 1972, intitolato West Side Stories, dove appare una Patti giovanissima, con alle spalle il fiume Hudson, prima di incidere il suo primo disco quando ancora erano in pochissimi a conoscerla. Quella di una sua esibizione al CBGB durante il concerto di Capodanno del 1977: qui aveva già pubblicato il suo primo album, Horses, e stava diventando un delle musiciste di riferimento a New York. E infine quella di lei e Bob Dylan sul palco del Beacon Theatre nel dicembre del 1995: da lì a poco, Patti sarebbe tornata a vivere in città dopo la morte del marito Fred, con il quale aveva vissuto per anni nei pressi di Detroit, e avrebbe anche ripreso la propria carriera musicale».
Molti dei posti frequentati da Patti e dai suoi contemporanei oggi non esistono più o hanno cambiato pelle. Che consiglio darebbe ai viaggiatori con in mano il suo libro contro il rischio di venir delusi da questo?
«Consiglierei di andare a Coney Island. Anche se negli anni la sua atmosfera fané si è attenuata e tutto è diventato un po’ più commerciale, si può ancora respirare l’aria di un posto considerato marginale e pertanto magnete per personalità eccentriche, artistiche o anche solo per persone normali che decidono di concedersi, ogni tanto, un viaggio nel passato a poche fermate di metropolitana».
E infine la sua New York: c’è tanto anche di lei nel libro, sia del suo rapporto con la figura di Patti che di quello con la città: quali sono i suoi luoghi del cuore della New York di oggi e quali consiglierebbe?
«Amo molto il quartiere industriale di Red Hook, a Brooklyn. Prospect Park, che è un Central Park inselvatichito. La funivia che porta a Roosevelt Island. Arrivare fino a bordo dell’acqua dell’East River e guardare uno dei ponti che collegano Brooklyn a Manhattan. La libreria Strand e la McNally Jackson. Il museo di storia naturale e il Metropolitan, che forse sono due dei miei musei preferiti al mondo. La High Line, da percorrere tutta da un capo all’altro. I marciapiedi di Greenpoint e le sue pasticcerie. Potrei continuare all’infinito, ma mi fermo qui. New York è una città maestosa e sono certa che sarà lei stessa a guidare i vagabondaggi di chiunque deciderà di andare a omaggiarla».