Arriva il museo della parola: aprirà a ottobre a Washington

Le parole contano. Pronunciate o scritte. È un po’ questo il mantra di un nuovo, singolare museo che finalmente – dopo il rinvio legato alla pandemia – aprirà ufficialmente i battenti il prossimo 22 ottobre a Washington D.C.

Stiamo parlando del Planet Word, la prima struttura di questo tipo a poter essere vissuta e goduta “con la voce”. L’interazione vocale dei visitatori sarà fondamentale per approfondire e scoprire il patrimonio linguistico scritto e parlato del pianeta. Proprio nell’epoca degli assistenti digitali e del prepotente ritorno dell’oralità che inonda social media e chat.

Planet Word si articola in ben undici gallerie immersive. In una, per esempio, i visitatori possono “dipingere” una scena usando le parole per variare i paesaggi intorno a loro. In un’altra, segnata da un enorme muro di oltre mille parole tridimensionali lungo quasi sette metri, i singoli termini risponderanno ai comandi vocali, raccontando la propria storia etimologica. Cioè il modo in cui sono nati e penetrati nel lessico inglese.

Il museo affronta tutte le culture internazionali: un enorme mappamondo allestito con 5mila luci a Led sfiderà i visitatori in una serie di quiz basati sugli idiomi di dozzine di popolazioni da ogni angolo del mondo, inclusi due tipi di lingua dei segni.

Non mancano neanche il karaoke o la possibilità di testare le proprie capacità retoriche interpretando uno dei tanti discorsi celebri che hanno fatto la storia, come quello in cui John Fitzgerald Kennedy invitava gli americani a chiedersi cosa potessero fare loro per gli Stati Uniti e non il paese per loro (era il discorso d’insediamento del 20 gennaio 1961) o quello di Martin Luther King tenuto il 28 agosto 1963 davanti al Lincoln Memorial al termine della marcia su Washington per i diritti civili.

Quasi 5mila mq ospitati dai cinque piani della Franklin School, fra i primi istituti pubblici della città: le undici gallerie sono progettate per educare e divertire i visitatori all’arte del linguaggio nelle diverse sfumature, da quella antropologica a quella retorica, dalla lingua scritta a quella parlata o anche cantata.

Le esposizioni sono arricchite da un calendario di eventi che approfondiscono, di mese in mese, aspetti sempre diversi delle nostre opere d’arte forse più stravolgenti: la lingua e i suoi codici. L’aspetto interessante è che questi eventi, almeno per ora, sono online e gratuiti. Si va dai poeti nigeriani ai cantanti hip hop iracheni, da street artist tedeschi e messicani fino ai comici africani o losangelini: ciascuno racconterà a “Divercities”, questo il nome del programma, il suo rapporto con la lingua materna e con quelle straniere.

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