Campagna e innovazione si incontrano in Toscana nel nuovo progetto in cantiere a Peccioli: l’idea è quella di far nascere un borgo popolare che si auto-sostiene alimentarmente con il “pixel farming” e produce indotto economico con agricoltura e silvicoltura, puntando ad attrarre anche i turisti.
Tra case sociali, orti circondati da frassini e pioppi divisi da recinti in terra cruda su oltre 11 ettari i ruderi agricoli diventano dodici case popolari con tetti a forma di foglia. Ecco il progetto su cui il sindaco di Peccioli, Renzo Macelloni e l’architetto Maria Alessandra Segantini, ceo di C+S Architects, scommettono per ripopolare i centri minori.
«È una nuova visione per dare a tutti una casa sociale capace anche di generare cibo di qualità a prezzi accessibili, rigenerare paesaggi depauperati, costruire comunità multietniche e multiculturali coese, de-carbonizzare il settore delle costruzioni e innestare innovazione costruttiva e sistemi circolari in grado di rimettere in equilibrio costruito e natura», racconta il sindaco.
C+S Architects, studio con sede tra Treviso e Londra propone a Peccioli, in provincia di Pisa, in Toscana, su incarico dell’amministrazione comunale, il masterplan “land-CR.AF.T.ED” (“Community Reinvent Affordable Food Through Ecologic Design”, ndr), una risposta possibile alle questioni ecologiche, economiche e sociali cruciali nei processi di trasformazione contemporanea di città e paesaggi.
Tra queste il consumo di suolo: secondo i dati delle Nazioni Unite più di metà degli esseri umani vive ora in aree urbanizzate destinate ad aumentare in maniera rilevante nei prossimi anni con conseguente spopolamento delle aree rurali. Questo processo non è accompagnato dalla rinaturalizzazione dei territori abbandonati bensì assistiamo al consumo di nuovo suolo (in Italia nel 2022 è stato consumato suolo pari a 7.677 ettari, cioè 24 ettari al giorno, il 10% in più rispetto all’anno precedente).
Dichiara ancora Macelloni: «Abbiamo chiesto a C+S Architects di disegnare un complesso di case popolari nell’area di Santo Stefano e lo studio ci ha restituito una visione all’avanguardia che rende il terreno produttivo innestando l’arboricoltura, che migliora la vista dall’alto e la qualità dell’aria tra due arterie di traffico, mentre contestualmente riconnette gli abitanti delle case sociali alla terra, costruendo una comunità multietnica e multiculturale. La sostenibilità a tutto tondo (economica, ambientale e sociale) della visione proposta ci mette al centro di un lavoro di squadra che guarda al futuro dei nostri paesaggi. Il confronto con la Regione su questo masterplan è imminente e con loro lavoreremo per realizzare questo prototipo di sviluppo sostenibile a cavallo tra costruito e natura, tra tradizione e innovazione».
Il nuovo paesaggio è disegnato da una serie di boschi circolari serviti da sentieri per le manutenzioni e taglio, bacini di raccolta dell’acqua per l’irrigazione e ricoveri per le attrezzature agricole. Tale paesaggio ha permesso di ridare vita agli edifici rurali che mal si adattavano alle vecchie funzioni e che sono stati trasformati in accoglienza con offerta turistica e spazi collettivi per la nuova comunità che abiterà l’area di Santo Stefano.
Le dodici nuove residenze sociali richieste dall’amministrazione sono state disegnate come una comunità di micro-fattorie che traducono il sistema dei casali storici toscani in forme contemporanee. Le dimensioni sono variabili da 80 ai 130 mq, ogni unità è caratterizzata da uno spazio di soggiorno/cucina e una, due o tre camere, secondo i canoni classici dell’edilizia sociale.
Ogni unità è disegnata da un recinto in terra cruda che definisce anche un suolo coltivabile. Qui si innesta il concetto agricolo innovativo del pixel-farming dove è la varietà delle specie e la biodiversità a garantire un’alta produttività. I dati raccolti dimostrano risultati straordinari di qualità dei prodotti risultanti da questo processo, che in questo modo potranno essere utilizzati localmente diventando cibo sostenibile in termini ecologici ed economici.
«Ho trascorso parte della mia infanzia tra i calanchi, i vigneti e i pescheti dell’Emilia Romagna, dove stava mio padre che, accanto al suo lavoro, piantava ulivi e tutte le specie possibili che spesso portava con sé da altri Paesi del mondo, creando un luogo speciale per la biodiversità – ricorda Segantini – questo progetto si nutre di quelle radici e le coniuga con tecniche innovative sia in termini di agricoltura che di costruzione».