ART&CULTURE

Roma, riapre il Parco Archeologico del Celio con la sua “Forma Urbis”

Misurare “a passi tardi e lenti” la Roma imperiale. E lasciarsi guidare da una mappa rimasta invisibile per un secolo e celata sotto una patina di emozione. Il vento gelido che spira sul Celio riporta in superficie la Forma Urbis Romae, griffata – oggi diremmo così no? – da Settimio Severo.

Il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, ascolta le guide che gli fanno strada nel Parco Archeologico del Celio, che dal 12 gennaio ha aperto le sue porte al pubblico.

Gualtieri ascolta rapito, come lo staff e i cronisti che condividono il privilegio in anteprima, la storia di questa gigantesca pianta marmorea dell’Urbe, incisa tra il 203 e il 211 d.C., una testimonianza tangibile della città eterna di allora, più unica che rara. Incisa su 150 lastre di marmo applicate alla parete con perni di ferro su uno spazio di 18 metri per 13, la Forma Urbis era esposta in origine in un’aula nel Foro della Pace, inglobata in seguito dal complesso dei SS. Cosma e Damiano nell’area del Foro Romano.

Come in un gioco di scatole cinesi, il nuovo Museo della Forma Urbis è ospitato nell’edificio dell’ex Palestra della Gil, all’interno del Parco: per trovare il tesoro, insomma, bisogna prima scartare, con delicatezza, le meraviglie che costituiscono il complesso adagiato sulla schiena di San Gregorio al Celio, in cima al Clivus Scauri, con il Colosseo che sbircia da due passi.

Ma riavvolgiamo per qualche istante il nastro legato alle vicissitudini della Forma Urbis, scoperta nel 1562. Molti frammenti andarono perduti, altri sono stati fortunosamente ritrovati nel corso dei secoli. Oggi resta circa un decimo del totale della pianta originale e dal 1742 è parte delle collezioni dei Musei Capitolini.

L’ultima esposizione complessiva degli originali è stata realizzata tra il 1903 e il 1924 nel giardino del Palazzo dei Conservatori. Poi, fino al 1939, alcuni nuclei significativi erano visibili nell’Antiquarium del Celio. Ora la Forma rivede la luce del pallido sole romano. Il nuovo allestimento del Museo permette una piena fruizione della pianta marmorea da parte dei visitatori, favorendo la leggibilità di un documento che, naturalmente, si presta poco a una comprensione immediata. Sul pavimento della sala principale i frammenti della Forma Urbis sono sovrapposti, come base planimetrica, alla Pianta Grande di Giovanni Battista Nolli del 1748.

«Un pezzo di Roma magnifico, che aiuta a comprendere anche il resto della città e a mettere in rapporto la sua storia contemporanea con il suo straordinario passato. D’altronde è l’unico posto al mondo dove si passeggia tra antico, moderno e contemporaneo», sottolinea con un filo di emozione il sindaco Gualtieri – scortato dall’assessore capitolino alla Cultura, Miguel Gotor, e dal sovrintendente capitolino ai Beni Culturali, Claudio Parisi Presicce – mentre ammira la straordinaria collezione di materiali epigrafici e architettonici inseriti nello scenario mozzafiato del Parco, che ospita, tra l’altro, le fondazioni perimetrali del tempio del Divo Claudio.

Eterna come la sua bellezza e la sua pigrizia, Roma si accoccola sul Celio e si riappropria così della sua “Forma”. Eterna.

Fabrizio Condò

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