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In Bolivia alla scoperta del grande deserto di sale

Considerato uno dei viaggi ai confini della realtà, il Salar di Uyuni, in Bolovia, è il deserto di sale più grande del mondo. Considerato uno dei 100 luoghi da visitare almeno una volta nella vita in base alle guide più prestigiose, è il protagonista assoluto di leggendari reportage e racconti sui vari blog di viaggio.

Con 10 miliardi di tonnellate di sale, questo immenso territorio fantascientifico grande quasi quanto l’Abruzzo, acceca per il suo candore e lascia senza parole per i suoi scenari lunari.

Uyuni è tra le principali attrazioni dell’altopiano andino meridionale della Bolivia, a 3600 m sul livello del mare e circa 40mila anni fa faceva parte del Minchin, uno dei più giganteschi laghi della preistoria. Come tutti i luoghi magici, per visitarlo bisogna affrontare un viaggio in treno molto lungo, o con partenza da La Paz, se si è già in Bolivia, oppure da Villazon, prima località boliviana alla frontiera con l’Argentina, se si proviene da Buenos Aires, in direzione Oruro, passaggio obbligato per chi deve poi raggiungere  la capitale boliviana.

Nell’equipaggiamento da predisporre per questo viaggio incredibile, gli oggetti d’obbligo sono crema solare, guanti, berrettini di lana e felpe pesanti perché l’escursione termica, giorno-notte, è davvero molto elevata.

A farla da padrone, sia nel deserto di sale che negli altopiani e nelle cosiddette lagune di cristallo, sono i colori, sempre intensi e nitidi, come mai si è stati abituati a percepirli, almeno per chi arriva dall’Europa. E tra gli avvistamenti più sorprendenti, i viaggiatori che attraversano il Salar di Uyuni possono imbattersi in schiere di fenicotteri che frequentano le lagune prima delle migrazioni.

Altra tappa d’obbligo per chi si avventura a Uyuni è sicuramente il cimitero dei treni:  situato su un altopiano di 4.300 metri, a tre chilometri dalla città, questo luogo è considerato il più grande “reliquiario industriale” del mondo con decine di locomotive, carrozze, vagoni-merci abbandonati e corrosi dalle piogge, dal vento e dal sale che li hanno trasformati in vere e proprie opere d’arte.

Andrea Lovelock

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